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Grimal/Duboc/Ceccaldi - Bambú

Ettore Garzia, Percorsi Musicali

Di straordinaria importanza è l'ispirazione che il trio Alexandra Grimal-Valentin Ceccaldi-Benjamin Duboc spende in Bambù. Pubblicato dalla Ayler Records, mi pare di poter dire che sia un lavoro accreditato alle idee della Grimal, parecchio lontano da quello che la bravissima sassofonista francese ha fatto fino ad ora. Bambù richiama espressamente l'arte di Giuseppe Penone, in special modo il rapporto che l'artista italiano ha ottenuto con la natura: si tratta di una compenetrazione tra uomo e natura che sarebbe possibile in tutte le arti e conseguentemente anche in musica, ma studiare Penone significa andare anche oltre; i 7 pezzi di Bambù, dalla titolazione già eloquente, sono un surrogato musicale di quanto in filosofia od architettura si è espresso come fenomenologia della percezione, un modo di impostare l'esistenza basandosi sulle nostre capacità percettive (con largo spazio anche a quelle naturali), un richiamo alle teorie di Husserl, Heidegger e a quelle a maggior enfasi sviluppate da Maurice Merleau-Ponty; quest'ultimo ha guidato l'esplorazione degli spazi di architetti sui generis come Steven Holl o Juhani Pallasmaa, che ne hanno raccolto l'eredità nel loro campo. 

La musica del trio permette di affrontare una tematica metafisica, ossia quella profonda immersione nella natura che ci circonda, che ci impone quasi di diventarne parte grazie all'implementazione dei sensi: l'atto di strofinare una corda di un contrabbasso o di un violoncello è una delle tante manovre fisicizzanti che servono come mediums per entrare nella percezione dei materiali della natura, portando l'immaginazione a livelli impensati e interagenti con l'artista. Quindi musica dominata dal pensiero "amplificato", ricerca di scorci di vita naturale da poter introitare nell'espressione, con movenze e linguaggi simili (non è sbagliato pensare alle sensazioni ricavate da un uomo che accarezza o abbraccia un albero); si preannuncia così l'inviolabilità delle tecniche estensive come unico canale per poter arrivare a quello che Penone esprimeva in Paesaggi del cervello; la stessa Grimal si impegna a rafforzare i legami, introducendosi in questo clima tra il dissonante e l'acre, modulando e tratteggiando la voce come un bambino farebbe con il suo pulcino. 

Bambù è eccellente, differente sia dalle derive di Eve Risser (dove non c'è una precisa convergenza verso la natura povera) o degli improvvisatori liberi nordici (che nelle migliori espressioni hanno sempre offerto una sponda alla musica contemporanea o comunque ad un paesaggio più complesso); così come assolutamente lontano è da qualsiasi tipologia di field recordings intervenuto sul tema, perché qui c'è musica viva; è musica delle pietre, degli alberi, dell'acqua, del nutrimento radicale, ma che parte dagli strumenti e dalla voce di Alexandra (sentire per credere cosa produce l'articolazione della parola image nei 13 minuti del pezzo omonimo). Qui la teoria di Schafer viene portata alle estreme conseguenze, tracima. Si respira l'ombra.