Meditations on Albert Ayler - Live at Glenn Miller Café

Sergio Eletto, Kathodik

Ancora una volta la seminale label svedese di free jazz, curata da Jan Ström, promuove realtà che si ispirano direttamente, e con tutta l’anima, alla ‘prima’ free-music dell’immortale sassofonista di Cleveland. Dopo l’approdo in zona messicana-caliente, con la rivisitazione piuttosto fedele dei Zero Point di alcuni dei più celebri temi ayleriani, effettuiamo una brusca virata in direzione del vecchio continente; ci troviamo all’interno del tempio dell’improvvisazione di Stoccolma, il Glenn Miller Café, dove un trio alquanto ingegnoso traccia due lunghe suite in cui le note burrascose e passionali di Ayler sono omaggiate e riscoperte tramite un’ottica differente da quella del trio di Città del Messico. Il cambiamento si nota subito dal nome scelto, Meditations On Albert Ayler, che lascia trasparire bene la scelta dei protagonisti di muoversi liberamente, con intrinseca personalità, all’interno di due composizioni del maestro (Ghosts e Truth Is Marching It, suonate e posizionate insieme come un’unica pista) e di un traditional (O Store Gud – How Great Thou Art -). Jair-Rohm Parker Wells (contrabbasso), Luther Thomas (sax alto, voce urlata, fischietti e altri oggetti poc’ortodossi) e Tony Bianco (batteria) precisano personalmente, nelle note interne, l’intento di distinguersi da una qualunque ‘Ayler cover-band’, affermando le seguenti tesi:
«… Meditations on Albert Ayler is not a tribute to one of the most influential figures of the post-Coltrane era. The music presented is improvised music inspired by the life, music and words of a musician who extended the vocabulary and the scope of the music formerly knows as Jazz…».
Un omaggio, dunque, che si spinge ben oltre, presentando un manifesto che degli affermanti jazz-man offrono globalmente alla passione di sempre, l’improvvisazione afro-americana, quella che dalle radici del gospel-blues si spinge sino alla nuova espressione, primitiva e spontanea, del free jazz.
I tre va detto che sono anche molto ironici, e tra lo stacco del primo pezzo e l’ingresso del secondo sembrano divertirsi un bel po’ a scambiare battute e scherzi con il pubblico del Café. Entrambe le suite spaziano tra movimenti secchi, truculenti, arcaici con altri più sperimentali, ad un passo sottile dall’esplosione (sempre trattenuta) e astratti; ma ciò che lega tutto questo magma è un intrinseco alone di spiritualità, ovvero, meditazione ascetico-sonora ad oltranza. Dentro la stoffa di questo cd si annidano, parallelamente ad Ayler, corpuscoli di jazz ultra-terreno alla stregua di Don Cherry, John e Alice Coltrane.
Provare per credere.