All sorts of jazz, free jazz and improv. Never for money, always for love.
Ancora una volta la seminale label svedese di free jazz, curata da Jan
Ström, promuove realtà che si ispirano direttamente, e con tutta
l’anima, alla ‘prima’ free-music dell’immortale sassofonista di
Cleveland. Dopo l’approdo in zona messicana-caliente, con la
rivisitazione piuttosto fedele dei Zero Point di alcuni dei più
celebri temi ayleriani, effettuiamo una brusca virata in direzione del
vecchio continente; ci troviamo all’interno del tempio
dell’improvvisazione di Stoccolma, il Glenn Miller Café, dove un trio
alquanto ingegnoso traccia due lunghe suite in cui le note burrascose e
passionali di Ayler sono omaggiate e riscoperte tramite un’ottica
differente da quella del trio di Città del Messico. Il cambiamento si
nota subito dal nome scelto, Meditations On Albert Ayler, che lascia
trasparire bene la scelta dei protagonisti di muoversi liberamente,
con intrinseca personalità, all’interno di due composizioni del
maestro (Ghosts e Truth Is Marching It, suonate e posizionate insieme come un’unica pista) e di un traditional (O Store Gud – How Great Thou Art -).
Jair-Rohm Parker Wells (contrabbasso), Luther Thomas (sax alto, voce
urlata, fischietti e altri oggetti poc’ortodossi) e Tony Bianco
(batteria) precisano personalmente, nelle note interne, l’intento di
distinguersi da una qualunque ‘Ayler cover-band’, affermando le seguenti
tesi:
«… Meditations on Albert Ayler is not a tribute to one of the most
influential figures of the post-Coltrane era. The music presented is
improvised music inspired by the life, music and words of a musician
who extended the vocabulary and the scope of the music formerly knows
as Jazz…».
Un omaggio, dunque, che si spinge ben oltre, presentando un manifesto
che degli affermanti jazz-man offrono globalmente alla passione di
sempre, l’improvvisazione afro-americana, quella che dalle radici del
gospel-blues si spinge sino alla nuova espressione, primitiva e
spontanea, del free jazz.
I tre va detto che sono anche molto ironici, e tra lo stacco del primo
pezzo e l’ingresso del secondo sembrano divertirsi un bel po’ a
scambiare battute e scherzi con il pubblico del Café. Entrambe le
suite spaziano tra movimenti secchi, truculenti, arcaici con altri più
sperimentali, ad un passo sottile dall’esplosione (sempre trattenuta)
e astratti; ma ciò che lega tutto questo magma è un intrinseco alone
di spiritualità, ovvero, meditazione ascetico-sonora ad oltranza.
Dentro la stoffa di questo cd si annidano, parallelamente ad Ayler,
corpuscoli di jazz ultra-terreno alla stregua di Don Cherry, John e
Alice Coltrane.
Provare per credere.
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